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182 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

diò le iscrizioni e le medaglie, e ne trasse materia a nuovi e più grandi lavori. Tutti i suoi pensieri erano alle cose e agli scritti dell’antichità: dottamente ragionò della milizia e delle guerre dei Romani, della loro amministrazione interna ed esterna, delle imposte, della popolazione, dell’indole, dei costumi, degli edifizi, dei templi, degli anfiteatri e di tutta la romana grandezza. E in tutto mostrava acume di critica, spirito filosofico, e stile conveniente all’altezza dell’argomento. Questi studi gli fecero intendere il popolo re, e gli dettero modo a illustrare gli scritti di Tacito. Egli era talmente padrone di questo scrittore che narrano si offrisse di recitarne qualunque passo col pugnale alla gola e permettendo di immergerlo se la memoria gli facesse fallo. I suoi commenti comparvero la prima volta nel 1574 ad Anversa e si ripeterono poscia in molte edizioni arricchiti e corretti. Ebbero da ogni parte lodi grandissime, si celebrarono come la migliore opera sua, ed erano quanto di meglio allora potevasi avere per sagacità, e per cognizione della proprietà e delle squisitezze della lingua latina. Molto egli avea lavorato sull’emendazione del testo, e in questa opera fu sì felice che le sue correzioni spesso si prenderebbero per ispirazioni di un indovino. È vero anche, come fu notato benissimo, che queste correzioni, comecchè ispirate da una perspicacia e finezza grande di giudizio, non possono lasciar sempre sicuro il lettore: è vero che il Lipsio fu in qualche modo il cominciatore del non piacevole metodo di riempire di varianti la metà e anche due terzi della pagina di uno scrittore, e di indurre così i lettori a dubitare della integrità e anche della latinità dei classici: ma è vero altresì che egli non è responsabile di tutte le varianti introdotte nel testo o indicate nelle sue note, perchè la