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177 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

brevità con l’occasione che appresso diremo. Un valent’uomo volle coronare la sua lingua francese sopra l’altre e darle il vanto di brevità, e la nostra disse lunga e languida. Il Davanzati giudicò noi andarne al di sotto: onde, perchè quello ricreduto si avvedesse del suo ardimento, tradusse il primo libro degli Annali di Tacito, dove senza lasciare niun concetto, con tutti i disavvantaggi degli articoli, vicecasi e vicetempi che bisogna replicare ad ogni poco, trovò più scrittura nel latino da otto per centinaio, e nel francese da oltre a sessanta. Ma sentendo che da sì poca scrittura d’un libro solo, che poteva essere uno sforzo, non veniva provato il suo intento, stampò gli altri che narrano il principato di Tiberio, a fine che a veggente occhio si chiarisse lo schernitore, che questi fiorentini libri largheggiano ne’ latini come il nove nel dieci, e ne’ francesi passeggiano come nel quindici. Ricevuta con applauso questa sua fatica, prese a volgarizzarlo tutto, come nuovamente si vede alla stampa, ancorchè l’importuna morte non glielo lasciasse correggere. Opera certamente che non ha mestiero di lode, perchè è di quelle le quali quanto più si mirano, tanto più risplendono, e che quanto più si leggono sempre più piacciono: segno che il bello non è solo nella buccia, ma interno e fondato: onde quando meglio s’assaporano, allora riescono più soavi; dove le cose ordinarie dopo la prima lettura, perduto il condimento della novità riescono dissipite e senza sostanza. A questa traduzione aggiunse alcune postille quasi ricamo a ricca veste, o smalto a finissimo oro, empiendole di precetti politici, economici e morali e di varie erudizioni ed arguzie che fiedono per l’orecchio l’animo dell’uditore.»

Tacito in questi tempi andava molto per le mani degli uomini e perciò, nel mentre che il Davanzati lo recava