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175 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
florilegi politici, si colsero fiori di ogni sorte dall’orto di Tacito. Alcuni presero a combatterlo, altri a difenderlo: vi fu chi ne ricavò precetti a governare civilmente gli stati, e ad ammaestrare la gioventù nella politica, e chi colle parole di lui insegnò a mutare la libertà in dispotismo. Tutti vi trovavano il conto loro: e il grande storico formò la delizia dei tiranni e degli uomini liberi. Cosimo I dei Medici vi studiava le arti tiberiesche che molto gli andavano a sangue: i principi di casa d’Austria lo consultavano tutti i giorni nelle necessità delle loro faccende, e i filosofi che nel secolo scorso preparavano la rivoluzione francese vi cercavano fatti e argomenti da rivolgere contro il dispotismo per renderlo più continente.
In Italia fino da principio meglio che altrove se ne intese lo spirito: perocchè quivi oltre all’amore ardentissimo per l’antichità avevasi uno stato di cose molto rassomigliante a quello dei tempi descritti da Tacito. Vi erano le ultime agitazioni delle morenti repubbliche e le prime crudeltà dei tiranni: i cittadini più generosi e più liberi lasciavano la testa sui patiboli, languivano nelle prigioni, o trascinavano in penosi esilii la vita. Le ultime rivoluzioni italiane, che erano riuscite alla schiavitù universale, erano pei nostri padri un eloquente commento allo storico che sì solennemente avea narrato il passaggio dalla libertà alla tiranide.
In lingua italiana ne fece la prima traduzione un anonimo e si stampò nel 1544. Poco dopo il Davanzati volgarizzò tutto Tacito con ampio stile e largo, convenevole al suo fine di farlo chiarissimo, e la sua opera in meno di cinquant’anni ebbe cinque edizioni: sul finire del secolo XVI si cominciò a pubblicare la traduzione del Davanzati che faceva per lungo tempo dimenticare tutte