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169 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
bondante, del periodo sonoro: e si ingegnava di provare che un buon libro è tanto migliore quanto più largo, e che gli viene autorità e bellezza in grazia della sua mole, in quella guisa che le statue, i busti, i dipinti e le rappresentazioni degli uomini, degli animali e degli alberi stessi ricevono pregio maggiore dalla loro ampiezza quando sia decorosa. Infine concludeva: Questo è fin qui il parer mio che muterò se tu sei di avviso diverso: ma spiegami il perchè di questa diversità di sentire. Perocchè quantunque debba cedere alla tua autorità, credo che in cosa di tanto momento sia meglio esser vinto dalla ragione. Onde se ti pare che io non erri dimmelo in una lettera breve quanto tu vuoi, ma dimmelo per raffermare il mio giudizio. Se poi ti sembra ch’io erri scrivimi una lunghissima lettera. Non abbiamo la risposta di Tacito, ma sappiamo che egli era dell’opinione di quell’oratore, che a Plinio stesso diceva: «Tu credi che in una causa bisogni dir tutto: io prendo di tratto il mio nemico alla gola e lo strangolo.»
Un’altra volta Tacito chiedeva all’amico le particolarità di due grandi fatti, l’eruzione del Vesuvio, e la morte di Plinio il naturalista che vi perì vittima del suo amore per la scienza. Il famoso vecchio che con immensi studi avea mostrato quanto il genio romano fosse atto a raggiungere l’universalità delle scienze e delle arti, che in una vita di 56 anni scrisse opere di mole stupenda e investigò tutti i fenomeni della natura, e da ultimo morì coraggiosamente nel campo della scienza, era argomento carissimo al cuore di Plinio. Gli era nipote e figlio adottivo: ne avea conosciuta la portentosa dottrina: lo amava con affetto di figlio, e lo ammirava con entusiasmo di discepolo capace a giudicare tutto il valore del grande maestro. In un giorno in cui la natura