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168 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

bel documento della loro amicizia. Vi è la gaiezza di un giovane amico che scrive a un giovane amico: vi è l’affetto e l’ammirazione alle alte qualità d’un grand’uomo: vi è l’oratore, vi è il cittadino, vi è il critico che ama ardentemente l’arte e la patria: vi è la vita operosa del Romano che avvicenda la meditazione all’azione: vi è amore impetuoso alla gloria di tutte le nobili azioni.

Plinio si diletta di caccia, ma anche nel tempo di essa non intermette i suoi piacevoli studi. Una volta scrive lietamente a Tacito una bella ventura occorsagli di prendere tre cinghiali bellissimi, e gli narra che mentre stava assiso alle reti aspettando la preda meditava e scriveva per riportare almeno piene le pagine se fosse stato costretto a tornarsene colle mani vuote. Tu non devi, dice all’amico, spregiare questa maniera di studio. È mirabile come per l’agitarsi e muoversi del corpo si ecciti l’animo. La solitudine e le selve che ne circondano da ogni parte, e il silenzio che si richiede alla caccia sono di grande aiuto al meditare. Però quando andrai alla caccia porterai teco non pure gli strumenti di essa, ma anche le tavolette da scrivere. Proverai che Minerva non meno che Diana gode di vagare pei monti.

Poi con gravità e amenità i due amici discutono le questioni dello stile e dell’arte. Plinio si dilettava dello stile abbondante, ed era inquieto degli ardimenti del fiero genio di Tacito che dell’avere più pensieri che parole faceva sua gloria. Quindi su questa materia gli scrisse una lunghissima lettera, ove adduceva tutti gli argomenti dei sottili ragionatori. Era d’avviso che l’oratore debba svolgere i suoi pensieri nel modo più largo per recare più facilmente la persuasione nell’animo degli uditori; e spingeva fino all’estremo le lodi dello stile ab-