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159 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
fanti: l’aria risuona di un feroce fragore di spade, di un lungo fremito di guerra civile, di un insano gridare di fratelli che si uccidono a sostegno di due uomini famosi per dappocaggine e per laidi costumi. Poi al rumore di guerra succede un lungo silenzio, e la campagna piena di strage presenta un artoce spettacolo. Corpi laceri, membra tronche, cavalli ed uomini putrefatti, terreno lordo di tabe, alberi e biade atterrate, devastazione e deserto. L’orrore cresce al comparire di un uomo che vuol pascere i feroci occhi della vista del campo di morte. Quest’uomo è il vincitore della scellerata battaglia e si chiama Vitellio. Senza raccapriccio si avanza, e visita lieto i vestigi della recente vittoria. I popoli gli spargono di lauri e di rose le vie, gl’inalzano allori, gli uccidono vittime. I capitani e i soldati che l’accompagnano ricercano lieti i luoghi delle battaglie, esaltano lor geste vere e false, gridano, si rallegrano, guardano ed ammirano i monti di armi e cadaveri. L’osceno tripudio agghiaccia il cuore e atterrisce il pensiero: ma lo storico tempra quell’abominazione con un affetto umano e con un pensiero morale che ti riconforta. Ti ricorda alcuni soldati che versano lacrime a quella vista: e ti mostra prossima la fine obbrobriosa del mostro che lietamente passeggia sulle ossa insepolte di tante migliaia di cittadini. E così l’arte di Tacito mira sempre al medesimo fine di destare nobili sentimenti negli animi: così tutte le riflessioni che far si possono su pregi letterarii di lui vanno a finir sempre a conclusioni morali.
Ugualmente solenne nello stile, ugualmente morale nei pensieri egli è quando descrive Roma spaventata dai supplizi, e ci mostra le vie e le piazze deserte. Si sta in guardia di ogni vicino, si scansa ogni incontro, ogni discorso di noti e di ignoti: anche le cose mute e inani-