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154 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

rone, e si compiacevano di esser contemplati in volto: voce severa tra le delizie e le voluttà della reggia.

Egli sente che ha un doloroso argomento alle mani, e a chi lo riprende di tornare troppo spesso a discorrere delle vergognose miserie e del troppo sangue sparso senza pro della patria, risponde che a ciò non odio lo stringe ma dovere di storico. «Noioso e dispiacevole, egli dice, sarei a me e ad altri a raccontare tanti e simiglianti casi dolenti e continui, quando fossero di guerre forestiere e di morti per la Repubblica, non che di tanta servil pazienza, e di tanto sangue straziato in casa che mi travaglia e mi agghiaccia il cuore. Ma io non addurrò a chi leggerà altra scusa se non che odio alcuno non m’ha mosso contro a morti così vilmente; nè poteasi quell’ira divina contro i Romani dire in una sol volta e passare, come quando sono sconfitti eserciti e sforzate città. Donisi a’ discendenti de’ gran personaggi, che si come hanno sepolcri propri e non con gli altri comuni, così abbiano nella storia memoria particolare di lor fine.»

Così non odio nè altra brutta passione lo muove mai. Nobile sdegno e pietà e ardente amore del vero governano il suo intelletto, e lo portano non a servire a fazioni ma a dispensare con equa lance la lode e il vitupero, a chiamare al suo tribunale i piccoli e i grandi, gli imperatori e i filosofi, le imperiali meretrici e i liberti, i delatori e i ministri, il senato e la plebe, e invocare su tutti il giudizio della posterità che è grande conforto all’innocenza infelice, e terribile minaccia al delitto anche quando tripudia nelle sue scellerate allegrezze.

In tal modo la parola di Tacito o benedica o maledica è sempre parola di virtù e di giustizia. In tal modo compie il sacro dovere dello storico, ed elevando la sua no-