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152 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
perchè non gli apparisce chiara alla mente; se afferma una scelleratezza è perchè il processo gliene dà piene le prove. Nei fatti antichi afferma sempre quando gli autori concordano: se dissentono, sta contento a citarli lasciando al lettore di scegliere la sentenza che gli sembra più vera. Riferendo le interpetazioni triste dei fatti non omette le buone, e si mostra a quelle più inclinato ogni volta che la natura e i costumi degli uomini gliene danno occasione. Nel giudicare gli stessi nemici, anche quando commettono una grande scelleratezza contro i suoi concittadini, egli lascia in dubbio ciò che non è ben provato, e non scaglia la maledizione contro la terribile vendetta che sa meritata. I Batavi oppressi dalle gravezze romane si levano contro i nemici e li vincono: i Romani si arrendono, e sono uccisi a tradimento. Civile capo de’ Batavi li riprende di avere così rotta scelleratamente la fede. Questa poteva essere una sottile malizia: ma lo storico che non vede chiara la verità si contenta di dire che non è bene affermato se fu una finzione o se Civile non potè impedire tale crudeltà.
Nelle cose in cui bastano gli argomenti di ragione egli giudica da sè stesso, e il suo giudizio è severo ma giusto. L’imparzialità è virtù somma in Tacito: e non può dubitarne chi lo abbia attentamente studiato. Ricercò il vero con lunga fatica, consultò le antiche memorie e i giornali, vide gli archivii tutti, gli scrittori che lo aveano preceduto studiò, e si messe in guardia contro ogni affetto che gli potesse far velo alla mente. Sapeva che cessata sotto Augusto la libertà di parlare e di scrivere, l’adulazione guastò gli scrittori, e che poscia le storie di Tiberio, di Caligola, di Claudio e di Nerone furono scritte falsamente quando vivevano e quando furono morti, dapprima per timore, poi per gli odii recenti: per-