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150 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

sercitati onori fatti capi di delitti; e le virtù pagate con certissima rovina. Nè meno abominevoli che gli stessi delitti furono i premii dei delatori; riportandone a guisa di spoglie, chi sacerdozi o consolati, chi procuratorie o potenza in palazzo, trattandosi e facendosi per essi ogni cosa: mentre tra l’odio e la paura corrompevansi servi contro signori, liberti contro padroni, e chi mancava di nemici trovavasi perduto dagli amici. Nè fu il secolo tuttavia così sterile di virtù, che non ne uscissero pure alcuni esempi buoni; madri che accompagnarono i figliuoli fuggitivi, mogli che seguirono i mariti nell’esilio, parenti arditi, generi costanti, servi perduranti in fede anche ad onta dei tormenti, ultime prove di chiari uomini e prove tollerate fortemente e morti uguali alle lodate morti degli antichi. Ai molteplici casi umani s’aggiunsero prodigii in cielo e in terra, ammonizioni di fulmini e presagii del futuro, or lieti, or tristi, or dubbi, or manifesti. Nè mai per più atroci calamità del popolo romano nè per più giusti indicii fu provato, come gli Iddii non curino la salute nostra, ma sì bene i castighi.

Tacito mentre faceva il suo doloroso viaggio a traverso a questi miseri tempi, si riserbava una consolazione all’animo lungamente travagliato dallo spettacolo delle guerre civili. Per confortare i suoi stanchi anni avea divisato di scrivere da ultimo la storia dei regni di Nerva e di Traiano, e narrare quei tempi rari e felici in cui fu lecito sentire ciò che volevi ed esprimere liberamente ciò che sentivi. Questo dolce pensiero gli sorrideva al cuore, ma pare che ad eseguirlo gli mancasse la vita. Egli dovea essere solamente lo storico delle sciagure, e lo fu con tutta la severità dell’uomo virtuoso che fa guerra al delitto con la potenza di un genio immortale.