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146 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
abbandonarono i tribunali, si serrarono le case, fu gemito e silenzio per ogni dove.
Era un correre per la città, un piangere disperatamente, un benedire quella cara memoria, un farle tutti gli onori, che sa trovare amore o ingegno. Come poi ne giungevano le ceneri recate dalla infelicissima moglie, lo spettacolo si faceva più solenne e più commovente; la mesta turba, ingombrava le vie e con affetto gentile domandava a sè stessa se colle parole o colla solennità del silenzio dovesse confortare il dolore della misera vedova. Al passare per le colonie la plebe era a bruno: da tutti i luoghi accorrevano a mostrare con lacrime e compianti il loro dolore. A Roma, la città era pel silenzio come un deserto o desolata per il gran pianto: le vie brulicavano di popolo: Campo Marzio ardeva di fiaccole: tutti gridavano esser con Germanico caduta la Repubblica, morta ogni speranza: e questo dolore manifestavano arditamente e scoperti, quantunque sapessero di far dispiacere a Tiberio. Apertamente chiedevano la morte dell’avvelenatore di lui, e ne traevano le imagini alle gemonie, quantunque lo sapessero caro a Tiberio.
Il popolo protesta energicamente contro ogni bruttura. Quando un figlio snaturato si fa accusatore del padre, il popolo colla sua voce tremenda minaccia all’accusatore il supplizio dei parricidi e lo costringe a fuggire di città. Qualche volta sente pietà anche degli schiavi tenuti a Roma nella condizione di bestie, e minaccia sassi e incendio contro i loro oppressori. Se volete un esempio di forti virtù nelle infime classi, leggete la storia di quella Epicari libertina che dopo avere eccitati i congiurati a toglier di mezzo Nerone, resse con mirabile costanza a tutti gli strazi. Nè verghe, nè fuochi, nè ira di manigoldi non la poterono indurre a confessare: