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139 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
e potenza, senza curare se sarà un mostro più vituperoso degli altri.
Non abbiamo in Tacito il regno di Caligola perchè sono periti i libri che narravano la vita e le imprese di questo degenere figlio del prode e generoso Germanico, di questo pazzo che portava nella crudeltà la facezia, e che era per istinto feroce. Pure qualche cenno di lui rimane in più luoghi di Tacito ove è mostrato che compagno a Tiberio, nelle ire e nelle sozzure di Capri, lo imitava negli atti e nelle parole, il feroce animo copriva con maliziosa modestia, niun segno di dolore faceva per l’uccisione della madre e per le sciagure dei fratelli, e bene dava ragione a chi diceva non esservi stato mai nè miglior servo nè peggior signore di lui.
È perduta anche una gran parte del regno di Claudio: ma sugli ultimi tempi ritroviamo lo storico che ci dipinge questo imbecille il quale si diletta a far l’antiquario, e a riformar l’alfabeto. Ogni cosa si vende sotto di lui, le grazie, gli esilii, i supplizi. È schiavo di donne e liberti, e a voglia altrui dà le sentenze, e sceglie la moglie. Qui la debolezza del principe partorisce le medesime sciagure che la crudeltà del tiranno: e le vergogne si accrescono. Claudio attende a esercitar la censura e a riprendere con editti la licenza del popolo, e intanto Messalina infama la reggia con furibonde libidini, corre notturna le vie in cerca di avventure, uccide chi si nega a sue sconce voglie, sprezza le facili turpitudini, si rivolge a non più conosciuti piaceri. La moglie dell’imperatore si sposa solennemente a un suo amatore, e questa grande infamia, dice lo storico, le piacque come ultima voluttà, dopo avere scialacquato tutte le altre. Claudio la uccide per cadere in balìa di un’altra moglie che gli danno i liberti: e allora la casa