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129 | ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
si facevano regali non di femminili delizie nè di ornamenti di chiome, ma di armi e cavalli. Le spose stesse portavano in dono armi al marito: e queste erano loro massimo vincolo, loro misteriosi simboli, loro Iddii coniugali che ammonivano la donna entrare essa compagna alle fatiche e ai pericoli, e sì in pace che in guerra dover patire e ardire quanto il marito. Dopo le quali cose s’intende bene come le donne germane nelle discordie tra i fautori della tirannide esterna e i difensori della libertà nazionale non dubitassero un momento sul partito da prendere, e come al padre traditore anteponessero i liberi e generosi mariti. Si comprende come da questa forte educazione si formassero donne simili a quella la cui grandiosa imagine apparisce negli Annali di Tacito. Essa in faccia al nemico che l’ha fatta schiava non piange e non supplica, ma serba contegno quale si conviene alla sposa del liberatore di Germania, d’Arminio.
Tacito vanta la severa castità delle donne, narra le pene che la legge dava ai loro falli, e conclude questa parte dicendo che là non si ride dei vizi e che corrompere ed esser corrotto non chiamasi moda. Colle quali parole è manifesto che egli allude alla corruzione di Roma ove ogni sentimento di pudore erasi affatto smarrito. Da questa allusione chiarissima e da altre che s’incontrano qua e là fu chi dedusse che egli col discorso sui costumi germanici non volle fare altro che un romanzo d’intenzione satirica. Sul che vogliamo notare che qui la parola romanzo è affatto fuori di luogo, perchè Tacito non è uomo da fare romanzi nè da lodare imaginarie virtù. Egli non è romanziere, ma osservatore profondo: non crea il contrasto fra la corruzione romana e gli austeri costumi germanici, ma lo vede e lo no-