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120 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

d’ingegno tennero i primi luoghi della letteratura e andarono famosi come per la bella amicizia che li univa così per lo studio concorde e per l’esercizio di ogni opera onesta, e pel santo scopo cui costantemente tennero fisso il pensiero. Per l’avanti il bene non era che un desiderio segreto dei cuori onesti: ora i tempi mutati davano a tutti il destro di farlo. Per l’avanti ogni sentimento di rettitudine smarrito o confuso: i delatori esaltati, il servile talento e le sozze piacenterie dallo sconcissimo principe considerate come eccelse virtù: i buoni puniti di spoliazioni, di esilii, di morti: i sospiri notati come delitto di ribellione. Nerva richiamò gli esiliati, condannò i calunniatori nel capo, restituì le fortune rapite. dismesse il regio fasto per sovvenire alle miserie pubbliche, provvide con leggi alla quiete, alla sicurezza, al costumi, e rese pubblico onore a quelli che aveano fama di cittadini onorevoli. Tra questi andava innanzi a tutti Virginio Rufo, un prode soldato, un magistrato integerrimo, un raro modello dei tempi migliori. Era allora sugli ottantatrè anni, e avea vedute tutte le calamità e le vergogne dei tristi tempi che corsero dal cominciare di Tiberio al finire di Domiziano. Sul cadere di Nerone, quando un alto grido di rivoluzione corse tutte le Gallie, Virginio dalla Germania volò a comprimere il moto, e vinti i nemici di Roma con altissimo animo due volte rifiutò l’impero offertogli dalle legioni, contento di averlo reso alla patria. Poi vivendosi oscuro la scampò dai mali principi che per le sue severe virtù non pur l’avevano in sospetto ma in odio. Ma finalmente venne il giorno pieno della sua gloria, perocchè Nerva che lo aveva in ammirazione e in amore, lo trasse dall’oblio in cui menava la stanca vita, e fattolo suo collega nel consolato gli dette modo a godere i pubblici o-