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molto misero nell’agitazione che lo aveva colto per cosa di sí piccola importanza. 

— Ed io ho le ali? — chiese abbozzando un sorriso. 

— Per fare dei voli poetici sí! — rispose Macario, e arrotondò la mano quantunque nella sua frase non ci fosse alcun sottinteso che abbisognasse di quel cenno per venir compreso. 


IX


Annetta era ritornata in città un mese circa prima del padre, il quale dalla villeggiatura era partito per affari per la capitale. Passarono in quel mese per le mani di Alfonso diversi dispacci di Maller, pagine intere, redatte con negligenza, senza risparmio. Si trattava di affari e Alfonso non volle volontario sottoporsi al lavoro ch’era quella lettura. Un ultimo dispaccio gli venne fatto vedere da Starringer, lo speditore, per le mani del quale passavano tutti i documenti e che li leggeva tutti. Il dispaccio di Maller si chiudeva con le parole: «Avvertite la mia famiglia che arrivo domattina. La carrozza venga a prendermi alla stazione». 

Il signor Maller doveva essere giunto da ventiquattr’ore e Alfonso ancora non lo aveva veduto. Si aspettava di trovarsi da un momento all’altro faccia a faccia con lui e camminava piú timido che di solito per il corridoio. 

Miceni venne ad avvisarlo che usciva appunto dalla stanza di Maller ove era stato per salutarlo. Il signor Maller lo aveva accolto con immensa cortesia e gli aveva stretto due volte la mano. Solitamente, parlando dei superiori, Miceni era velenosamente democratico, ma quel giorno, sotto l’impressione di quelle due strette di mano, era piú dolce e pareva gli avessero fatto dimenticare lo scacco subito da Sanneo. Non soltanto lodava il signor Maller per la sua cortesia, ma anche da impiegato affettuoso si rallegrava di trovargli l’aspetto fiorente. 

— Mi consigli di andarlo a salutare anch’io?