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di meritare quei rimproveri, si irritò del modo, di una parola piú brusca. Altre volte, se ne rammentava, si toglieva all’avvilimento in cui lo gettavano tali accidenti della vita d’impiegato, applicandosi con maggior fervore ai suoi studi che dovevano toglierlo alla sua posizione subalterna. Fu quel fatto che dopo lunga assenza lo portò di nuovo alla biblioteca. 

Si dedicò alla lettura di un giornale bibliografico italiano. La lingua non gli obbediva e bisognava darsi esclusivamente a letture italiane. Lesse per un’ora circa con attenzione spontanea, era effetto della brutalità di Sanneo, una discussione sull’autenticità di certe lettere del Petrarca e quando cessò rimase soddisfatto, rimpiangendo i tempi passati che la stanchezza del suo cervello gli ricordava, un rimpianto forte come se da allora la sua vita avesse mutato di molto. 

Quando alzò il capo si avvide che a lui dirimpetto sedeva Macario che lo fissava indeciso. 

— Il signor Nitti! — disse costui quasi domandandolo; doveva avere la memoria labile. Poi però gli porse amichevolmente la mano. 

Uscirono insieme. 

— Ci viene spesso? — chiese Macario occupato anche questa volta a raddrizzare il soprabito, una lunga mantellina grigia dai grandi bottoni d’osso. 

Alfonso con tutta disinvoltura rispose che veniva ogni sera e, tacitamente, si propose di fare in futuro della bugia una verità. 

— Io da otto giorni, ed è peccato che sia la prima volta che ci vediamo — disse Macario gentilmente. Gli chiese che cosa studiasse. 

— Letteratura! — confessò Alfonso esitante. 

Era lieto di poterlo dire a Macario, ma esitava conoscendo e temendone lo spirito maldicente. Spiegò ch’era sua abitudine di studiare ogni giorno qualche ora per svagarsi del lavoro della giornata. 

— E che cosa legge? — chiese Macario che lo guardava con sorpresa. 

Trovava che Alfonso, ad onta del viso bronzino, aveva