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voleva provare che l’idea morale nel mondo non ha altro fondamento che da un’imposizione necessaria per il vantaggio della collettività. L’idea non era molto originale ma il modo di svolgerla poteva divenirlo se esclusivamente inteso alla ricerca della verità senz’alcuna preoccupazione delle possibili conseguenze per la vita pratica: coraggio e sincerità non gli mancavano. Scrivendo aveva tutto quel coraggio che nella vita gli mancava e nei suoi studî fatti al solo scopo di imparare non poteva aver perduto la sincerità. Gli elementi che costituiscono il successo letterario non conosceva e poco curava. Voleva lavorare, lavorare bene e il successo sarebbe venuto da sé.

Lavorava bene ma lavorava poco. Ricorreva troppo di spesso col pensiero all’opera completa quando le frasi che ne aveva fatte si potevano contare sulle dita. Cosí, in sogno, vedeva aumentati i pregi di quest’opera che perché non ancora fatta non poteva essere stata danneggiata dalle resistenze della penna. Dopo qualche mese, vedendo che il risultato dei suoi sforzi era compreso tutto in quelle tre o quattro paginette di prefazione ove prometteva di fare e di provare ma ove nulla era fatto o provato, venne preso da un grande scoramento. Quelle pagine rappresentavano il lavoro di mesi perché altro in quel frattempo egli non aveva fatto. Non una sola volta aveva stancato il suo cervello con lo studio e quelle pagine erano il solo progresso che egli avesse fatto verso la sua meta. Era tanto poco che equivaleva ad una rinunzia tacita ad ogni ambizione. 

Pigliava anche piú legittimamente l’aspetto di rinunzia per il fatto incontestabile che alla banca egli si trovava meglio e che odiava meno quel lavoro che da bel principio aveva scoperto in antagonismo a quello intellettuale cui voleva dedicarsi. L’aiuto e l’esempio di Alchieri avevano cooperato a renderglielo meno odioso ma anche, riteneva, la cessazione quasi intera dell’attività piú intelligente. 

Per lungo tempo inutilmente tentò di ripigliare le letture alla biblioteca civica, magari lasciando per allora in disparte il suo lavoro filosofico. Una sera Sanneo lo sgridò per un errore da lui fatto. Per quanto dovesse riconoscere