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veva con troppa lentezza, prese lui il pacco di lettere, le sparse sul tavolo e ne trasse il corpo del delitto.
— Non vide questo notabene? — gridò furibondo.
Infatti era difficile non vederlo. Era fatto con una matita rossa; la prima gamba della N correva larga diagonalmente attraverso la facciata, la seconda era piú breve ma soltanto perché dopo essersene staccata rimaneva parallela alla prima e lo spazio piú non bastava; il B si spingeva piú piccolo sin fuori della facciata e gli mancava una gobba.
— L’ho visto — gridò Miceni stizzitosi perché la predica gli era fatta dinanzi ad Alfonso e a White, — avevo però già domandato le istruzioni per le altre lettere, e quando mi capitò questa trovai troppo faticoso di correre fino da lei per chiederle delle spiegazioni che supponevo avessero ad essere, come al solito, superflue.
La sua voce aveva dei suoni acuti; una volta scoppiata, l’ira lungamente covata gli faceva dire tutto quanto pensava.
— Ah! cosí! — urlò Sanneo dopo un istante di sorpresa a tanta petulanza, e stracciò la lettera, — crede che io faccia i notabene per mio piacere? Rifaccia subito questa lettera!
Con voce tremante, interrotta dalla commozione, gli diede le istruzioni.
— Ma poiché non posso piú fidarmi di lei, — aggiunse di nuovo gridando, — mi darà sempre, con la sua lettera, la lettera arrivata e si rammenti che se ne fa ancora di queste, mi rivolgerò al signor Maller per farle dire per suo mezzo le mie ragioni.
Miceni s’era già messo a scrivere, ma qui alzò le spalle con movimento quasi impercettibile ma completato da un sorriso ad aperta provocazione.
Asserivasi di Sanneo che gridava finché non trovava opposizioni e certo era che non amava le questioni e che per quanto stava in lui le evitava. Finse di non aver visto il gesto di Miceni e se ne andò.
Miceni era rosso in modo che sotto ai baffetti neri brillava la pelle colorata; si sentiva stridere piú fortemente