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Imbarazzato e commosso egli la pregò di calmarsi. Provava un sentimento disaggradevole, quasi un rimorso di aver soffocato la povera fanciulla sotto il peso della gratitudine. Le disse ch’egli non aveva fatto altro che il proprio dovere. Ella continuava a piangere tenendosi sulla bocca il fazzoletto e rimanendo sulla soglia senza appoggiarsi allo stipite.
— Non v’è nulla da ringraziare né da piangere. Saranno felici adesso, ecco tutto!
Ma Lucia riebbe subito la parola:
— Felici no! Mai! — Poi, di tempo in tempo ancora interrotta nel suo parlare dalle lagrime, raccontò che quella stessa sera ella aveva scongiurato Gralli di rinunziare alla dote e ch’egli vi si era rifiutato. — Ora non gli voglio piú bene affatto, — e si rimise a piangere. Era proprio una bambina e giammai, pensando al tradimento di Gralli, Alfonso non aveva sentito tale ripugnanza. — Bene, veramente bene, — e Alfonso pensò ai sacchi di bene di cui parlavano i bambini, — veramente bene non gli volli mai. Mi dicevano e io stessa comprendevo che bisognava sposarlo, ma non mi sarei mai immaginata ch’egli fosse tanto cattivo.
Alfonso tentò di convincerla che Gralli era migliore di quanto ella credesse dicendole che se voleva del denaro era per goderne con lei. Non trovò altri argomenti. Non sapeva risolversi a usare astuzie per stornare da sé il dolce affetto ch’era nato per lui nel cuore della fanciulla e donarlo a Gralli.
Ella voleva baciargli la mano, ciò ch’egli non permise. L’attirò a sé e la baciò sulla fronte mentre fra le sue braccia la fanciulla tremava tutta. Con dignità, lentamente, sempre parlandole e pregandola di non piangere, la ricondusse in tinello e fino alla porta della sua stanza.
Ripensando al suo contegno con Gralli del quale egli non aveva sdegnato di ricercare l’ammirazione e con Lucia della quale aveva procurato di aumentare la riconoscenza, Alfonso si ripeté la domanda:
— Era quello il contegno da filosofo?
E ancora una volta dovette sorridere di sé allorché pro-