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re tre e che la dote da lui offerta doveva bastare a coprire le spese maggiori.
Ma l’operaio sapeva fare di conti. Per quanto Alfonso avesse nominato un importo insignificante quale spesa per mantenere Lucia, l’operaio gli provò che gli interessi della somma offerta non bastavano a coprirne che un quinto.
— Ella dunque vuol vivere d’interessi! — esclamò Alfonso indignato.
Quel calcolo egoistico da cui Gralli faceva dipendere un’azione doverosa di riparazione lo toglieva alla sua calma.
— Non io, ma chi vuole vivere alle mie spalle, — rispose brutalmente Gralli. Fu lui che cessò dal ragionare. — Se Lucia avesse una dote di settemila lire, la sposerei.
Alfonso tentò di fargli diminuire questa domanda, già deciso però di cedere lui se l’altro resisteva, e Gralli fu irremovibile.
— Lei avrà queste settemila lire, — disse Alfonso alzandosi.
Gralli lo accompagnò fino alla porta dei Lanucci:
— Mi basterà la sua parola, la sua parola dinanzi ad un notaio. — Poi dopo di avere fatto il proprio interesse con tanta abilità volle fare anche buona figura. Disse che la somma che Alfonso gli dava era ben lungi dal bastare ai bisogni di Lucia, ma ch’egli metteva nella bilancia anche il suo affetto per essa e poi il suo affetto paterno che, assicurava, era nato dal momento in cui aveva saputo che stava per divenire padre.
— Sí, — aggiunse serio, — sono convinto ch’è molto meglio che quello o quella che ha da nascere sia figlio legittimo.
Le espressioni gentili e affettuose di Gralli stonavano siffattamente col contegno fino allora da lui seguito che ad Alfonso sembrò di udire citazioni testuali di pensieri altrui.
Era però lieto che tentasse di apparire innamorato e disinteressato perché cosí gli veniva tolta la preoccupazione che Gralli potesse sospettare un movente meno che puro all’interessamento ch’egli prendeva alla famiglia Lanucci.
Parve anche che Gralli indovinasse che cosa il suo be-