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compagnavano i singhiozzi di Lucia deboli e continui. Questi tutto ad un tratto cessarono e Lucia parlò con voce limpida, scandendo le sillabe, battendo su singole parole: Giurava o prometteva. Tutto ciò non giunse a scuotere Alfonso dal suo torpore; si sentiva tanto debole e tanto indifferente che credette il tutto non fosse altro che suggestione della febbre che di nuovo lo avesse afferrato. Gli parve che un’altra volta ancora si aprisse la porta della sua stanza o che Gustavo lo chiamasse ma a bassa voce, evidentemente soltanto per accertarsi ch’egli dormiva.
Non rispose, incapace di scotersi.
Alfonso si alzò rinfrescato dal sonno. Sapeva ora molto bene che la sera innanzi aveva assistito a una scena reale, ma non ne aveva afferrato i particolari in modo da poter comprendere quale importanza dovesse dare ai dubbi che Gustavo aveva avuto tanta fretta di comunicargli. Certo il suono della voce di Lucia non era stato quello di una colpevole e ad Alfonso bastò per credere nella perfetta sua innocenza. Non appena desto, era stato riafferrato dalle sue preoccupazioni e non poteva rivolgere tutta la sua intelligenza a studiare dei fatti che direttamente non lo riguardavano.
In tinello non trovò che Gustavo il quale a sorsellini beveva il suo caffè.
— Scusa sai se ieri a sera non stetti ad ascoltarti, — gli disse con franchezza, — ero tanto stanco che mi addormentai mentre tu mi parlavi e neppure prima d’addormentarmi non arrivai a comprendere nulla. Che cosa volevi dirmi?
Gustavo alzò gli occhi dalla scodella e gli gettò una occhiata diffidente.
— Tanto meglio, — gli disse, — io ero un po’ brillo e chissà quello che ti dissi.
Non era vero che fosse stato ubbriaco, ma Alfonso non pensò di cercare la ragione per cui gli veniva detta una menzogna. Forse, era l’interpretazione piú benigna, Gustavo mentiva per iscusarsi di aver detto e pensato cose non vere.