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gettò su un fianco respirando profondamente dalla soddisfazione. Sembrava un uomo stanco di godere.
Dopo aver chiesto pulitamente il permesso, entrò Gustavo.
— Già spento il lume? Sei molto stanco?
— Sí! molto!
Lentamente e con sforzo gli disse ch’era stato ammalato e che la malattia lo aveva lasciato molto debole. Credette che Gustavo si fosse allontanato e fu là là per addormentarsi. Invece, molto vicino a lui, Gustavo parlò lungamente senza chiedere sue risposte. Egli comprese quello che gli veniva detto, ma nella sua stanchezza i fatti che gli venivano esposti non lo sorprendevano. Non si agitava neppure pensando alla sua relazione con Annetta che le parole di Gustavo gli richiamavano alla mente.
— Oh! poche parole! — disse Gustavo a bassa voce. Dichiarò che a lui non piaceva affatto quel grande dolore di Lucia per un uomo che non lo meritava. — Qui gatta ci cova! — disse abbassando ancora minacciosamente la voce. — Non è naturale che per l’abbandono di un aborto simile Lucia si rammarichi. — Dichiarò che a lui parlava come ad un fratello. Supponeva che Lucia per troppa fiducia si fosse data a Mario Gralli. — Ma io l’ammazzo, e se anche mi costasse la galera. — Si ripeté a voce piú alta: — Io l’ammazzo se abusò in tale modo della nostra fiducia.
Alfonso aveva compreso, ma l’unico suo desiderio fu che Gustavo al piú presto si allontanasse. Ragionava però ancora e si sentí in dovere di protestare a nome di Lucia.
— Lucia è una ragazza dabbene e tu hai torto, — disse senza sollevare la testa dal guanciale.
— Dabbene? — gridò Gustavo — ma è una ragazza e debole quindi.
Dal tinello si udí un grido e poi il rumore di un pianto affannoso. Alfonso sentí la voce della signora Lanucci dapprima bassa: si capiva che voleva tranquillare Lucia, poi piú alta: chiamava Gustavo. Costui uscí e chiuse dietro di sé la porta. Poi Alfonso li udí discutere accanitamente, una voce cercava di soffocare l’altra mentre li ac-