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glio di essere perfettamente conscio di essere stato lui a rinunziare. Una volta su questa via volle anche andare piú oltre. Quello che adesso succedeva non lo concerneva affatto; alla sua felicità doveva bastare di sapersi liberato da Annetta. Era libero! Ripeté piú volte la parola a mezza voce: Libero da quella donnicciuola che lo aveva abbandonato con la stessa rapidità con cui gli si era data.
Quando uscí dalla piazza, egli aveva quel suo passo marcato, lungo, delle grandi risoluzioni e guardò se non s’imbattesse in Macario perché avrebbe voluto congratularsi subito con lui per il lieto avvenimento. Lieto? Povero Macario! Era veramente lui il tradito!
Ad onta di tutti i ragionamenti rimase triste. Una volta di piú, cosí raccontava a se stesso, quel fatto gli provava l’imbecillità della vita e non pensava in questo fatto al torto di Annetta o di Macario ma al proprio, di sentire in modo strano e irragionevole.
Poi in casa Lanucci la sua tristezza ebbe altro alimento. Già gli appartamenti piccoli e bassi lo rattristavano perché di nuovo s’era abituato all’abbondanza di spazio del villaggio.
Gli parvero piú misere del solito anche le persone. Lucia che ricamava nel tinello lo salutò appena; appariva anemica e sotto agli occhi aveva marcata una macchia verdastra. Il vecchio Lanucci era a letto da due settimane per un reuma di cui non doveva forse piú guarire: nuova, grave sventura per la povera famiglia. Gustavo non era in casa.
Parve che la vecchia Lanucci soltanto un’ora dopo si rammentasse della sventura toccata ad Alfonso. Molto stanco, egli si era gettato sul letto allorché ella picchiò alla sua porta. Seccato, egli le andò incontro. Non comprese perché ella dirottamente piangesse; i singhiozzi le impedivano di parlare.
— Che cosa ha? — le chiese spaventato.
— È morta, la poveretta, e ha tanto sofferto!
Si tranquillò all’apprendere che la Lanucci non piangeva che per la morte di sua madre.
— Sí, è morta e mi ha incaricato di salutarvi tutti!