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al treno con intenso desiderio. Che cosa avrebbe fatto in quel villaggio nel quale capitava per caso e ove non conosceva nessuno?
XVII
L’arrivo in città fu triste. Mentre fuori fioccava la neve bianca e allegra, dal mare soffiava lo scirocco e in città piovigginava monotonamente. Alfonso ebbe il triste sentimento che quel tempo non avesse piú a cessare. Non erano nubi distinte su quel cielo, ma fino all’orizzonte un solo strato grigio sucido.
Stava per uscire dalla stazione quando venne fermato da Prarchi accorso correndo e che nella fretta, quantunque si trovasse al coperto, aveva dimenticato di chiudere l’ombrello.
— Hai visto Fumigi?
— Io no!
— Che sia già arrivato? — e lasciò Alfonso per andare a parlare al capostazione.
Ritornò ad Alfonso che non aveva compreso come tanto presto il capostazione avesse potuto dare notizie di un singolo passeggiero.
— Non arriva oggi! E lei che cosa fa da queste parti?
— Arrivai or ora! — rispose Alfonso stupefatto che non si sapesse della sua lunga assenza.
— Ah cosí! — Poi anch’egli dolente di dimostrare tanta ignoranza dei destini di Alfonso, volle correggersi. — Sono tanto distratto io! Se sapevo ch’ella era assente! Me lo avevano detto Macario e Maller.
S’incamminarono. Attraversarono la piazza e infilarono la via Ghega che s’internava nella città da quella parte compatta, circoscritta. Con pochi passi si arrivava alle vie maggiormente abitate.
— In lutto? — chiese Prarchi con sorpresa che riteneva legittima.
— Sí, per la morte di mia madre.