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— Oh! Santo! — esclamò Alfonso lieto d’imbattersi in volto conosciuto, e salí le scale in premura.
Il portiere si lisciò la barba:
— Ah! cosí? — e senza salutare continuò a scendere, dopo pochi passi rimettendosi a canticchiare.
Santo, appoggiato negligentemente alla balaustrata, attese Alfonso senza mutar positura e quando lo ebbe accanto gli disse:
— La introdurrò io — sempre ancora immobile; poi, riflettendo: — È stato invitato dal signor Maller? — domanda che fece credere ad Alfonso che ci fosse una stanza apposita destinata a ricevere gl’impiegati invitati dal signor Maller.
Improvvisamente Santo si mise a camminare celermente verso una porta a destra.
— Scusi un istante, — gridò, e, lasciandolo sulla soglia, entrò nel corridoio con passo frettoloso, aperse la prima porta e la sbatacchiò dietro di sé. Rimasto solo, Alfonso si trovò in una semioscurità nel corridoio tappezzato a colori smorti con due porte per parte ed una in fondo, piccole, colorate in nero lucido. Udiva alla destra lo scoppio della voce di Santo a cui rispondevano la voce e le risate di una donna; le parole non arrivava a comprendere, risonavano confuse come in un vuoto.
Santo uscí ridendo sgangheratamente; aveva la bocca piena. Attraverso all’uscio socchiuso Alfonso scorse una cucina ricca di vasellame di rame lucente, un focolare e accanto una donna grassa e bionda, illuminata dalla luce rossastra del fornello; con un cucchiaio in mano minacciava Santo. Santo continuò per un pezzo a ridere sotto i baffi. Si diresse verso la porta di fondo.
Giunsero in una stanza quadrata con mobili piccolissimi fatti per esseri che di certo mai erano esistiti. Piccola e morbida, pareva un nido. Era tappezzata con una stoffa azzurra che ad Alfonso parve raso e i tappeti erano tanto alti, soffici che si provava il desiderio di sdraiarvisi.
— È la stanzuccia di ricevimento della signorina Annetta, — disse Santo; — non si entra però mica da questa parte. Qui è l’ingresso per la servitú. L’ho condotta da