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— Vuole rimanere nel suo letto? — gridò improvvisamente Giuseppina minacciosa andando verso di lui.
Spaventato ritirò la gamba.
— Non volevo che acqua! — disse per iscusarsi.
— Ah! è in sé! — disse Giuseppina riflettendo comodamente ad alta voce. — Scusi! — aggiunse e quella sua voce grossa d’uomo non sapeva chiedere scusa, — mi hanno raccomandato di stare molto attenta! — Gli diede dell’acqua quanta ne volle.
Dovettero essere piú giorni che passò in quello stato perché piú volte aprendo gli occhi rimanevano sorpresi dalla luce del giorno mentre s’erano chiusi di notte.
Una volta aprendo gli occhi ebbe la sorpresa di trovarsi sulla via, dinanzi alla casa di Mascotti, sostenuto da Frontini e da Giuseppina. Dubitando non fosse un sogno, non dimostrò la sua sorpresa e non chiese spiegazioni. Venne fatto salire su una carrettella che subito si mise in movimento lentamente ma non evitando perciò, inevitabili sul selciato irregolare, le scosse onde egli si risentiva come di legnate. Fu lieto quando altre visioni scacciarono quella e anche quando si riebbe di notte quella gita gli parve frutto del delirio.
Ma alla mattina sentendosi tranquillo come dopo un lungo riposo e la mente quieta, alquanto intorpidita, ma già rivolta del tutto ai fatti che avevano preceduto la sua malattia, s’accorse che non era stata una visione. Vedeva esattamente in tutti i particolari la stanza di casa sua, i mobili vecchi, l’orologio a pendolo che camminava e che segnava le otto, e i due letti. Vi era anche quello della madre. Ne avevano asportato il cadavere e lo avevano rifatto come se la persona che ne era uscita avesse avuto da coricarvisi di nuovo la sera. Il guanciale era il medesimo ed egli lo riconosceva a una grande macchia di caffè ch’era stata fatta dalla defunta allorché respinse una tazza offertale in un momento in cui le sofferenze l’avevano esasperata.
Bastava per evocargli dinanzi agli occhi tutti i terribili avvenimenti a cui aveva assistito negli ultimi quindici giorni. Gli vennero le lagrime agli occhi, proprio dol-