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l’imminenza del grave avvenimento che andava compiendosi sotto ai suoi occhi gliene toglieva la facoltà.
I disturbi piú dolorosi provenivano alla signora Carolina dai turbamenti del suo sistema nervoso. All’ammalata sembrava che il materasso si piegasse da una parte in modo da farla sdrucciolare fuori del letto e per quanto fosse diritto bisognava elevarlo da quella parte mettendoci sotto dei guanciali. Naturalmente tutti gli sforzi finivano col provare all’ammalata che il male risiedeva nel suo organismo e non negli oggetti che la offendevano. Alla destra del suo letto v’era una finestra ch’ella volle venisse coperta con un lenzuolo perché la luce da quella parte l’offendeva. La bianchezza del lenzuolo continuò a molestarla e anche quando Alfonso sostituí al lenzuolo un panno nero ella non ebbe pace.
— Capisco, capisco! — gemette e non chiese altri mutamenti, ma da quella parte anche quando vi aveva rivolta la schiena continuava a venirle un malessere indefinibile.
Una sola volta ancora Alfonso si trovò tranquillo tanto da poter uscire. Aveva fretta perché non voleva rimanere troppo tempo lontano dall’ammalata e desiderava di andare almeno fino al villaggio. Fu quindi seccato d’imbattersi all’uscire di casa nel giovine Creglingi, lo sposo di Rosina. Accompagnato da due contadini, andava verso i suoi campi situati di là dalla casa di Alfonso; occupavano una metà della plaga piú ubertosa della valle.
Alfonso non seppe celare del tutto che l’incontro non era stato da lui molto desiderato ma, ed egli se ne accorse, neppure Creglingi ebbe subito il modo piú amichevole, e anzi, se Alfonso non si fosse mosso per il primo ad incontrarlo vergognandosi di passare accanto al suo antico amico senza neppur salutarlo, Creglingi non avrebbe dimostrato di essersi accorto di lui.
«Tanto mi è dispiaciuto di trovarlo sposo di Rosina?» si chiese Alfonso sorpreso del proprio odio e non dell’altrui.
— Come stai? — gli chiese Creglingi, un giovine forte, dai tratti volgari, la pelle macchiata dal sole e nel