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disordinato di casette sucide ove abitava la parte piú povera della popolazione. Nel suo piccolo, il villaggio aveva in embrione tutte le sezioni della città.
Alfonso si agitò e accelerò il passo vedendo alla finestra la testa nera di Rosina, il suo primo amore. Non l’amava piú, questo era certo, ma quale dolce e giocondo sentimento al rivederla!
Era una giovinetta che serviva la vecchia parente presso la quale abitava, ma in casa aveva tanto poco da fare che viveva come una signorina, meglio di qualunque altra ragazza del villaggio. Alfonso aveva ballato con lei ad una sagra e l’aveva prescelta prima di tutto perché egli la vedeva bellissima e poi perché per cultura e vestire gli sembrava superiore alle altre. Poi s’era sviluppata fra di loro una buona amicizia che si manifestava in alcune parole che scambiavano giornalmente, ella sulla finestra e lui sulla via. Qualche sera chiacchierarono insieme fermandosi un poco piú in là della casa, dunque fuori del villaggio, ma nella completa oscurità egli non s’era arrischiato neppure di baciarle la mano. Le aveva fatto delle lodi esagerate della sua bellezza, ma non le aveva neppure detto di amarla. Il suo ideale non era realizzato in Rosina ed allora non aveva ancora rinunziato a trovarlo. Non aveva dunque mai avuto l’intenzione di andare piú oltre, mentre nel villaggio si disse, e la signora Carolina lo riscrisse ad Alfonso, che Rosina aveva provato una forte disillusione alla sua partenza.
Si avvicinò meravigliato ch’ella non lo avesse riconosciuto subito pur avendolo veduto:
— Signorina, non mi riconosce?
— Oh! il signor Alfonso! — disse Rosina con sorpresa calma, e fece un leggiero inchino esitante forse perché non ancora lo aveva riconosciuto oppure perché non s’era ancora risolta a riconoscerlo.
— Non mi dà neppure la mano?
— Eccola!
Ma non gliela diede ancora. Prima di sporgersi dalla finestra guardò a destra e a sinistra per accertarsi che nessuno la vedesse.