Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
do, esasperata con un’occhiata di risentimento, ella mormorò:
— L’aprirò io.
Non lo fece perché non le riuscí di alzarsi dal seggiolone.
Dalla finestra ch’egli aveva spalancata, entrava ora l’aria in abbondanza. Ad onta della mortale agitazione in cui si trovava, egli se la sentiva entrare benefica nei polmoni assetati. La respirazione della madre continuò frettolosa e superficiale.
Egli si rammentò che avrebbe potuto avere bisogno di Giuseppina. Corse nella stanza vicina e la trovò che dormiva con le coperte fino al mento. La chiamò gridando, ma inutilmente, e impaziente dovette risolversi a scuoterla per un braccio.
— Che c’è? — mormorò ella, e si capiva che a mezzo desta lottava per continuare a dormire perché tentava di sottrarsi alla mano che l’aveva afferrata, e si faceva piccola piccola contro il muro.
— Mamma sta male. Si alzi e accenda il fuoco.
— Ma se non serve! Bisogna lasciare che passi da solo.
Senza dubbio ella era quasi del tutto desta, ma usava della poca capacità di ragionare che cosí aveva acquistato, per tentar di provargli che sarebbe stato bene di lasciarla nel suo letto.
— Si alzi! — ripeté imperiosamente Alfonso e dovette correre via chiamato da un grido della madre.
La signora Carolina era ritornata da sola nel letto e premeva la bocca sul guanciale. Lo pregò ora di chiudere la finestra perché il caldo forse le avrebbe fatto bene e poco dopo gliela fece riaprire, sempre sorpresa che da tanti tentativi non le venisse alcun sollievo.
— Ho fatto accendere il fuoco. Vuoi un tè che forse ti calmerà?
— Sí, sí, — gridò ella con una gioia come se le avessero proposto di star bene.
Giuseppina era ancora in letto e di nuovo addormentata. Furibondo egli la trasse con violenza per il braccio che pendeva penzoloni fuori del letto; era l’unica parte