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mi sempre sperando di scoprire degli indizi di benignità. Invano; si trattava proprio di un organismo che andava in isfacelo. Ella aveva sofferto già da anni di disturbi nei quali un occhio esperto avrebbe forse riconosciuto la malattia organica che ne era causa. Anche quando si avvide di avere qualche poco di gonfiezze ai piedi non s’era rivolta al medico, un po’ per ignoranza e molto per riguardo e per economia. Quando finalmente s’era consultata con lui, egli l’aveva fatta rimanere a letto; non s’era alzata piú, dicendo che vi si sentiva meglio che in piedi e che le ripugnava di vestirsi per vedersi il corpo sfigurato a quel modo. Ora non poteva piú moversi. Quello che non aveva fatto la malattia era stato compiuto dall’inerzia e dalla mancanza d’aria pura. In quella stanza si soffocava. Allorché per un istante erano state aperte le finestre, era giunto fino ad Alfonso un soffio dell’aria di fuori, balsamica in confronto a quella della stanza.
— Giacché lei c’è qui posso ritornare in orto. Se avessero bisogno di me basta che picchino alla finestra, — disse Giuseppina e uscí.
— È l’infermiera? — chiese Alfonso. — E di solito ti lascia cosí sola come ti ho trovata poc’anzi?
La madre gli spiegò che l’aveva presa in casa da un mese anche perché la rimpiazzasse in quei piccoli lavori ai quali pur era d’uopo provvedere.
— Cosí la tolsi alla piú squallida miseria. Mi pareva tanto buona e attenta!
Egli rilevò quell’imperfetto che accennava ad un presente in cui l’opinione su Giuseppina doveva essersi mutata, ed era tanto evidente che attorno a sua madre regnava un’incuria e un’indifferenza grande, sproporzionatamente alla gravità del male di cui moriva, che, incapace di frenarsi, egli scoppiò in singhiozzi.
Ella comprese perché piangesse, e, avendo immediatamente le lagrime agli occhi anch’essa, lo abbracciò stretto per ringraziarlo della manifestazione d’affetto a cui doveva essere poco abituata.
— Adesso ci sei tu e non ho bisogno d’altri.
Per tranquillarla volle indicare tutt’altra ragione allo