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— Lei può facilmente immaginare quanta importanza abbia per me questa faccenda, ma però a me non piace di lasciare la signorina Annetta qui sola a combattere anche per mio conto!
Ella lo guardò attentamente:
— Ella dunque non vuole partire?
— Io non voglio nulla, ma, mi sarà permesso, lo spero, di esprimere un mio piacere o un mio dispiacere?
Ella parve disillusa.
— Cosí...? Senta, voglio essere franca. Io non vedo la ragione per cui ella dovrebbe allontanarsi. Annetta è padrona in casa e alla prima parola ch’essa dirà, se sarà detta come si deve, nessuno avrà piú nulla da opporre. Non vi sono dunque a temere degli affronti per Annetta o per lei. — Poi, vedendolo esitante e sorpreso: — Io non so come conquistarmi in sí breve tempo la sua fiducia, ma ne ho di bisogno. Ella sta per commettere una sciocchezza ed io voglio impedirgliela. Dunque mi ascolti, segua un mio consiglio, non parta. — Gli disse che a lui voleva bene, che si rammentava sempre con uguale commozione del villaggio, dell’anno trascorsovi e della madre sua ch’ella aveva amata, tutto questo con la sua voce esile, dolce, ma calma e fredda, incapace di finzione. — Dunque abbia fiducia in me, non parta! — E parlò ancora. Gli disse ch’ella non aveva sentito dolore all’apprendere che Annetta lo amava, perché si trattava di lui, ma che se Annetta si fosse data a quel modo ad altri, ella non se ne sarebbe consolata mai piú perché il tutto era potuto accadere soltanto per un suo errore, perché non aveva avuto il coraggio di far intervenire Maller a tagliare la tresca ch’ella sapeva incominciata. — Ho errato, ma, se la conseguenza del mio errore ha da essere il suo matrimonio con Annetta, il mio pentimento è ben piccolo. Mi accade proprio di venir premiata di un errore.
L’erta era finita. Piú che a guardare ove andavano erano occupati ad osservarsi l’un l’altra. Quasi istintivamente Alfonso voleva attraversare la piazza perché tirando dritti si doveva passare per una via molto popolata, ma ella lo fece deviare: