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sibile nel cielo violaceo. Un malessere profondo lo fece tacere. Egli volle spiegarlo con i dubbî sull’avvenire della sua relazione con Annetta; da quella notte non ancora gli erano stati tolti. Ma Annetta era sua! Non era questo già molto, tanto che avrebbe dovuto sentirsi l’uomo piú felice sulla terra? Egli aveva lungamente desiderato Annetta, l’aveva amata. Erano il sonno e la stanchezza che gli toglievano di godere della sua felicità e, salendo l’erta che conduceva alla casa dei Lanucci, egli andava persuadendosi che la dimane egli si sarebbe risvegliato all’amore e che avrebbe anelato di rivedere Annetta.
Si coricò e s’addormentò non appena poggiata la resta sul guanciale.
XV
Ma svegliandosi si ritrovò con quell’istesso malessere.
Riandando col pensiero su tutti gli avvenimenti della notte innanzi, il suo disgusto aumentava. Tutto gli dispiaceva, dal primo abbraccio che egli aveva rubato fino a quell’ultimo saluto cui egli aveva risposto costringendosi ad una finzione che, per quanto facile, gli era costata dello sforzo. Volle non ammettere la conclusione ch’evidentemente egli avrebbe dovuto trarre da questo suo sentimento. Nell’immensa felicità di possedere Annetta, egli si diceva che gli dispiaceva il modo con cui l’aveva conquistata. Non credeva che Annetta lo amasse; ella si piegava alle conseguenze di un fatto irrevocabile.
Tempo prima Macario gli aveva detto che lo riteneva incapace di lottare e di afferrare la preda, ed egli di questo rimprovero s’era gloriato come di una lode. Ora egli aveva provato che Macario s’era ingannato sul suo conto.
Vedeva con tutt’altri occhi la sua stanzetta allegra, ridente per il raggio di sole che, unico nella giornata, vi penetrava a quell’ora. Ci aveva pur passato delle belle ore! Era stata una felicità strana, una soddisfazione continuata del