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parole: — Mio Dio, che cosa abbiamo fatto? — La sua era sorpresa e disperazione. Guardava gli oggetti intorno a sé come se avesse sperato ch’essi la richiamassero da quello che sperava un sogno. Il disordine nelle sue vesti, cui appena allora cercò di riparare, le diede la certezza ch’era perfettamente in sé. Si rialzò non senza dignità; chiamava in aiuto tutte le sue forze, ma non che un riparo non trovava neppure un contegno che le fosse piaciuto di seguire. Si padroneggiò e muta si asciugò le lagrime e si avvicinò al tavolo allontanandosi da lui.
Egli comprese ch’era suo dovere cercare di consolarla. Le si avvicinò e la baciò sulla fronte. Era un dovere e all’infuori di quell’atto altro egli non trovava. Che cosa doveva dire?
Ella lo lasciava fare, ma il dolore la vinse di nuovo, pianse ancora una volta e ripeté la sua frase disperata. Non gli disse una sola parola di rimprovero, e ciò provava che relativamente alle circostanze la sua freddezza era abbastanza grande. A lui nulla aveva da rimproverare perché egli aveva fatto quello a cui egli mirava da lungo tempo e ch’ella sapeva essere il suo scopo.
Alfonso ritrovò finalmente la parola. Le disse di amarla. Per quel bacio avrebbe dato la vita e non poteva quindi pentirsi della sua azione.
Pur lasciandosi abbracciare ella gridò:
— Sí, ma non ci vedremo piú, mai piú!
Fu allora che per un piccolissimo intervallo di tempo la sua lucida mente si offuscò. Non comprendeva che il passo fatto era irrevocabile e pareva credere potesse venir cancellato da quella sua risoluzione.
— Come vorrà! — gridò Alfonso ingenuamente.
Con quella fanciulla che piangeva si sentiva male e se non avesse temuto di spiacerle se ne sarebbe andato subito e magari promettendo di non ritornare mai piú. Provava sorpresa al sentirsi cosí calmo e lontano dal desiderio che dieci minuti prima lo aveva condotto ad un’azione tanto arrischiata.
Venne Francesca e poté subito comprendere quello ch’era avvenuto perché Annetta non era ancora al caso di ce-