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quella brutta scrittura e di quel brutto stile. C’era in lui qualche cosa di offeso per quella lettera resa pubblica. 

— Ora ho mutato di opinione... — balbettò, — sono contento! Sa... la lontananza... la nostalgia... 

— Capisco, capisco! ma via, siamo uomini! — e ripeté piú volte questa frase. Poi di tutto cuore assicurò ad Alfonso che in ufficio gli si voleva bene e che cominciando da lui e dal signor Cellani, il procuratore, fino al capo corrispondente, il signor Sanneo, tutti desideravano di vederlo progredire rapidamente. Congedandolo ripeté: — Siamo uomini — e lo salutò con un cenno amichevole; Alfonso uscí tutto confuso. 

Dovette confessare che il signor Maller aveva l’aspetto di persona buona, e, facilmente impressionabile, la sua posizione alla banca gli sembrò migliorata: alla fine qualcuno si curava di lui! 

Era però pentito di non essersi contenuto con maggior franchezza e con maggior sincerità; perché aveva smentito quelle verità confessate alla madre? Avrebbe dovuto corrispondere alla bontà del principale con una franca esposizione dei suoi desideri e ne avrebbe forse avuto il vantaggio di vederne soddisfatto qualcuno, certo il vantaggio di aver incamminato col principale una relazione amichevole, perché non è offesa chiedere protezione. Si tranquillò proponendosi di essere piú franco in altra occasione, la quale, dopo la prima, non poteva tardare a presentarsi. 

Intanto, per non lasciar sussistere contraddizione fra quanto aveva detto al signor Maller e quanto aveva scritto alla madre, riscrisse a quest’ultima avvisandola che le viste alla banca si miglioravano per lui e che rinunziava per allora all’aria aperta, alle quercie, al riposo. Sarebbe ritornato in patria ricco o non vi sarebbe ritornato mai piú.