Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
mie che Ballina mandava con voce grossa d’ira al vedere che la lettera era di quattro facciate.
In un’oretta all’incirca Miceni terminò il suo lavoro. Con tutta calma rifece teletta, mise anche il cappello in testa con tanta cura come se non avesse avuto da levarlo piú mai, prese seco le sue lettere e i dispacci che passando voleva deporre dal signor Sanneo, vi uní per compiacenza due lettere scritte da Alfonso e uscí canticchiando.
Nella quiete assoluta il lavoro procedette piú rapidamente. Non trovandoci altro piú forte interesse, Alfonso, per legare l’attenzione al lavoro, usava quand’era solo di declamare ad alta voce la lettera, e quella si prestava alla declamazione essendo rimbombante di paroloni e di cifre enormi. Leggendo ad alta voce la frase e ripetendola nel trascriverla, scriveva con meno fatica perché bastava il ricordo del suono nell’orecchio per dirigere la penna.
Si ritrovò con sorpresa di aver finito e andò immediatamente da Sanneo temendo già di aver fatto tardi. Costui trattenne i dispacci e gli ordinò di porre le lettere sul tavolo del signor Maller.
D’inverno il pavimento della stanza del signor Maller era coperto di tappeti grigi. Anche i mobili avevano un colore oscuro grigio, e i bracciali e le gambe, di legno nero. Dei tre beccucci a gas uno solo era acceso e semichiuso. Nell’oscurità la stanza diveniva piú seria. Alfonso vi stava sempre a disagio. Depose le lettere su un altro pacco che c’era sul tavolo per la firma e uscí con cautela senza far rumore come se il principale fosse stato presente.
Avrebbe ora potuto andarsene, ma una grande stanchezza lo fece rimanere. Si propose di fare ordine sul suo tavolo ma rimase là inerte, seduto a sognare. Dacché era impiegato, il suo ricco organismo, che non aveva piú lo sfogo della fatica di braccia e di gambe da campagnolo, e che non ne trovava sufficiente nel misero lavorio intellettuale dell’impiegato, si contentava facendo fabbricare dal cervello dei mondi intieri. Centro dei suoi sogni era lui stesso, padrone di sé, ricco, felice. Aveva delle ambizioni di cui consapevole a pieno non era che quando sognava. Non gli bastava fare di sé una persona sovranamente in-