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Fumigi volesse accusarlo di un delitto. — Cammino da un’ora circa per fare del movimento. Se vuole farmi compagnia...
Sulla figurina di Fumigi, vestita di solito con tanta regolarità, c’era qualche disordine; la cravatta non voleva stare a posto, il collare del soprabito nero, del resto nuovissimo, non era spiegato.
— Andiamo al porto nuovo? — chiese. Guardò ancora l’orologio e dopo una piccola esitazione si mise a camminare accanto ad Alfonso.
Tacquero movendosi ai pallidi raggi del sole che tramontava. Dal piazzale della stazione si volsero verso il mare e si fermarono sul primo molo fatto da poco, dal selciato bianco, regolare.
— Splendido! — disse Alfonso guardando il sole e lieto di poter parlare. Mezza palla incandescente guardava ancora fuori del mare. Non sembrava che la luce tranquilla, bianca che illuminava le case alla riva, provenisse da quel corpo rosso. Esso dava i riflessi rosei all’orizzonte e arrossava a metà una nuvoletta bianca, immobile sulla città nelle cui contrade interne già imbruniva.
Veramente nessuno dei due aveva occhi per il magnifico spettacolo. Alfonso osservava Fumigi che era assorto nei suoi pensieri tanto da non curarsi neppure piú di celare la sua preoccupazione. Guardò di nuovo l’orologio e mormorò alcune parole che Alfonso non intese; poi si cacciò le mani in tasca fremendo dall’impazienza e guardando l’acqua sotto ai suoi piedi. Aveva dimenticato persino d’essere accompagnato.
— Ha fretta? — gli chiese Alfonso.
— No! — rispose Fumigi — mi basta d’essere a un appuntamento per le sette e mezzo.
Quanto gli era stato raccontato da Miceni era dunque vero, e Alfonso pensò che l’appuntamento a cui Fumigi importava di giungere in tempo era con Maller. Fumigi attendeva una decisione e Alfonso si credeva ancora tanto sicuro del fatto suo che quell’impazienza febbrile gli fece compassione perché sapeva che al poveretto stava per toccare un dolore.