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Lo trattava con rispetto, lasciandogli il passo alle porte e inchinandoglisi profondamente dopo di avergli aperta la porta della biblioteca. Anche alla banca coglieva ogni occasione per provargli la sua deferenza. 

In biblioteca trovò Annetta e Francesca, questa sul suo eterno ricamo, quella scrivendo. 

— Facevo il primo abbozzo, — gli disse Annetta. — Venga, venga, mi aiuterà perché da sola non ci riesco. 

Gli pose d’innanzi la carta, piccola e elegante carta da lettera, e una penna. 

— Starà maluccio ma il posto è sufficiente quando c’è tanta voglia di fare come da noi due. 

Il tavolo era troppo basso e non c’era posto perché ella non s’era curata di asportare giornali. Francesca supplí alla dimenticanza di Annetta. 

— Capisco che se non vi aiuto, da soli non ne verreste a capo. 

Prese un fascio di giornali e lo gettò in un canto. 

Sembrava che le relazioni fra le due donne fossero migliorate. Francesca non aveva piú l’aspetto da sofferente quantunque sul suo volto, ch’era sempre pallido, soltanto le labbra fossero meno bianche, e Annetta non evitava di rivolgerle la parola. 

— Bada di non voler mettere la tua idea nel romanzo, perché si può ammettere di fare un romanzo in due ma non in tre. 

Avevano anzi il desiderio di rivolgersi la parola di spesso come due persone che ad ogni istante bramano di rammentarsi che non si tengono piú il broncio. 

— Un paio di parole di prefazione! — disse Annetta con qualche gravità. — Vorrei spiegarle il metodo che penso si dovrebbe seguire nel lavoro per non lasciarvi troppo chiare le traccie di due menti, di due intenzioni differenti. Naturalmente che prima di tutto bisognerà far sí che le due intenzioni sieno meno differenti che sia possibile. Sarà la cosa piú difficile, ma con qualche concessione da una parte e dall’altra credo che ci si arriverà. In quanto al metodo, bisognerà semplicemente dividere il lavoro.