Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/281


— 277 —

Emilio puntellò le braccia sul tavolo e poggiò la fronte sulle mani. L’ora in cui egli aveva maltrattata Angiolina gli pareva lontana lontana, perchè di nuovo egli non si riteneva capace di un’azione simile; non trovava in sè l’energia nè la brutalità che c’erano volute a compierla. Chiuse gli occhi e s’addormentò. Gli parve poi d’aver sempre percepito anche nel sonno il respiro di Amalia e di aver continuato a risentirne come prima spavento, speranza e disinganno.

Quando si destò era giorno fatto. Amalia con gli occhi spalancati guardava la finestra. Egli s’alzò e, sentendolo muoversi, ella lo guardò. Quale sguardo! Non più di febbre, ma di persona stanca a morte, che dell’occhio proprio non interamente disponga e le occorra sforzo e ricerca per guidarlo. — Ma che cosa ho, Emilio? Io muoio!

L’intelligenza era ritornata ed egli, dimenticata l’osservazione fatta su quell’occhio, riebbe intera la speranza. Le disse ch’ella era stata molto male, ma che adesso — si capiva, — risanava. L’affetto che si sentiva in cuore traboccò e si mise a piangere dalla consolazione. Baciandola gridò che da allora sarebbero vissuti insieme uniti, uno per l’altro. Gli pareva che tutta quella notte tormentosa non ci fosse stata che per prepararlo a tale inaspettata felice soluzione. Poi ricordò tale scena con vergogna. Pareva a lui stesso di aver voluto approfittare di quel solo lampo di intelligenza in Amalia per quetare la propria coscienza.

La signora Elena accorse per calmarlo e ammo-