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gambe, poi in quel chiacchierio incessante. Commosso nel ricordare e analizzare tutta l’angoscia di quella giornata, parlò, piangendo, dell’affanno, poi della tosse, quel suono esile e falso che pareva prodotto da un vaso fesso, e del dolore intenso che ogni colpo di tosse produceva all’ammalata.
Il dottore cercò d’incorarlo con qualche parola amichevole, ma poi, ritornando all’argomento, fece una domanda che cagionò ad Emilio non poca angoscia: — E prima di questa mattina?
— Mia sorella è stata sempre debole, ma sempre sana. — S’era compromesso con questa frase e soltanto dopo averla detta fu colto da dubbi. Non erano stati certo degl’indizi di salute quei sogni ad alta voce ch’egli aveva sorpresi. Non avrebbe dovuto parlarne? Ma come farlo dinanzi al Balli?
— Prima d’oggi la signorina si sentiva sempre bene? — chiese il Carini con aria incredula. — Anche ieri stesso?
Emilio si confuse e non seppe rispondere. Egli non ricordava neppur d’aver vista la sorella nei giorni precedenti. Veramente quando l’aveva vista l’ultima volta? Forse mesi prima, quel giorno in cui l’aveva scorta sulla via vestita in modo tanto strano. — Io non credo ch’ella sia stata ammalata prima. Me lo avrebbe detto.
Il dottore ed Emilio entrarono nella stanza dell’ammalata, mentre il Balli, dopo una breve esitazione, si fermò nel tinello.
La signora Chierici, ch’era seduta al capezzale si