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Il giorno appresso il Balli venne da Emilio a fargli il rapporto della prima seduta. Aveva lavorato da indemoniato e non poteva lagnarsi d’Angiolina, la quale nella sua posa non troppo comoda, aveva resistito quanto aveva potuto. Le mancava ancora di comprendere la posa, ma il Balli non disperava di riuscirci. Era più innamorato che mai del proprio concetto. Per otto o nove sedute non avrebbe avuto neppure il tempo di scambiare una parola con Angiolina. — Quando avrò delle esitazioni per cui mi toccherà arrestarmi, ti prometto che non si ciarlerà che di te; scommetto che finirà coll’amarti di cuore.
— Tutt’al più, e non sarà male, parlandole di me l’annoierai tanto, che non amerà neppur te.
Per quei due giorni egli non potè vedere Angiolina e perciò si trovò con lei soltanto il pomeriggio della domenica, nello studio del Balli. Li trovò in pieno lavoro.
Lo studio non era altro che un vasto magazzino. Gli era stata lasciata tutta la ruvidezza della sua antica destinazione perchè il Balli non lo voleva elegante. Il pavimento lastricato era rimasto sconnesso come quando ci venivano deposte le balle di merci; soltanto nel mezzo, d’inverno, un grande tappeto salvava i piedi dello scultore dal contatto del suolo. Le pareti erano rozzamente imbiancate e qua e là, su dei sostegni, riposavano delle figurine di argilla o di gesso, non certo per esservi ammirate, chè erano accatastate piuttosto che aggruppate. Le comodità non v’erano però trascurate. La temperatura v’era resa