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parecchie volte, tant’è vero che non avrebbe saputo rifare una sola nota delle canzonette udite più volte dal Balli. Doveva essere un veneziano perchè ella si compiaceva spesso d’imitare la pronunzia veneziana che prima, probabilmente, aveva ignorata. Emilio lo sentiva accanto a sè, beffardo gaudente; arrivava a ricostruirlo fino a un certo punto, ma poi gli sfuggiva e non arrivò mai a conoscerne il nome. Nella raccolta di fotografie d’Angiolina non v’era alcuna faccia nuova. Il nuovo rivale non doveva avere il vezzo di regalare la propria fotografia, o forse ad Angiolina sembrava miglior politica di non esporre più le fotografie, alla cui raccolta ella aveva dedicata la propria vita. Tant’è vero che sulla parete mancava anche quella di Emilio.

Egli non ebbe alcun dubbio che se si fosse imbattuto in quell’individuo, l’avrebbe riconosciuto a certi gesti ch’ella doveva aver imitati da lui. Il peggio era che dalla sola ripetuta domanda da chi ella avesse appreso quel gesto o quella parola, ella indovinò la sua gelosia: — Geloso! — disse con un’intuizione sorprendente vedendolo serio e mesto. Sì; egli era geloso. Soffriva quando per un’esitazione ella si cacciava con gesto maschile le mani nei capelli, o per sorpresa gridava; — Oh, la balena! — o, quando scorgendolo triste, gli chiedeva: — Sei invelenà oggi? — Soffriva come se si fosse trovato a faccia a faccia col suo inafferrabile rivale. Per di più, con la fantasia eccitata dell’innamorato, egli credette di scoprire nei suoni della voce d’Angiolina