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repubblica delle lettere, egli lo pretendeva e lo occupava, quasi segretamente, ma non perciò con meno diritto o con restrizioni. Egli diceva bensì a tutti che da anni non scriveva nulla (esagerando perchè c’erano le storie degli uccelletti) ma nessuno gli credeva, e bastava questo per attribuirgli per consenso generale una vita più alta, più alta di tutto quanto lo contornava.

Meritava perciò l’invidia e l’odio. Enrico Gaia non gli risparmiava i sarcasmi e sapeva talvolta anche sopraffarlo parlandogli di affari e di posizione economica. Ma ciò non gli bastava, perchè Mario stesso amava di ridere del proprio stato. Il Gaia avrebbe voluto strappargli il sogno felice dagli occhi a costo di acciecarlo. Quando lo vedeva entrare in caffè con quella sua aria di chi guarda le cose e le persone con l’eterna, viva, serena curiosità dello scrittore, egli diceva torvo: — Ecco il grande scrittore. — E infatti Mario aveva l’aspetto e la felicità del grande scrittore.

Nelle favole il Gaia non apparve. Però un giorno Mario apprese che i piccoli uccelli sono voracissimi: in un giorno ingoiano tanta di