gati da stretti vincoli alle opere maggiori del romanziere e testimoniano di un’attività interiore, di un fervore di sviluppi che destano la più viva sorpresa. L’ultima età dell’uomo, la vecchiaia, le illusioni, le manie, le fobie, i pericoli ch’essa comporta, ne sono pressochè la sola materia. Materia rara in ogni letteratura e tanto più rara nella nostra, almeno quando lo scrittore rinunzi, come qui accade, a pararsi di atteggiamenti convenzionali, di venerabili attributi e di paradigmi morali, e affronti direttamente le molte difficoltà dell’argomento. Nei racconti che ci richiamano in modo più biografico all’esperienza di Zeno e ai suoi rapporti con l’avventura reale dello Svevo, tale materia è assunta nei toni di un humour a doppio taglio che poco indulge alle musicali rievocazioni del tempo perduto: e si hanno i risultati di Vino generoso e di Una burla riuscita, novelle che hanno iniziato all’arte del triestino un grande numero di indecisi; ma in qualche tratto della Novella del buon vecchio e nel Vecchione, il tempo, questa fatalità del romanzo moderno, si fa sentire con ben altro peso. Leggo in un frammento inedito che qui è pubblicato in una differente lezione, certo posteriore: «Dunque lasciamo stare il futuro che mi preoccupa poco. Fra il passato