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la grande critica dell’autore disgraziato. Era dessa il suo grande riposo, agitato solo in apparenza, il sogno più splendido. Ma aveva lo svantaggio d’impedire il sonno altrui. Scoppii di voce, suoni di disprezzo, discussioni con interlocutori assenti, tanti strumenti musicali varii che s’alternavano, e inpedivano il sonno. Eppoi Giulio anche per cortesia doveva badare di non addormentarsi, quando ad ogni tratto gli si domandava il suo parere. Doveva dire: — Anche a me pare. — Era tanto abituato a tali parole che per sillabarle gli sarebbe bastato di lasciar passare il suo fiato sulle labbra. Ma chi russa non sa fare neppur questo.

Una sera il furbo malato che pareva tanto innocente in quel suo berretto abbondante, ebbe una trovata. Con voce turbata (forse perchè temeva di essere indovinato) domandò a Mario di leggergli il suo romanzo. Mario si sentì affluire più caldo il sangue al cuore. — Ma tu già lo conosci, — obiettò mentre subito s’accinse ad aprire il libro che non era mai lontano da lui. L’altro rispose che da lunghi anni non l’aveva più letto e che sentiva proprio il desiderio di riudirlo.