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furbo di lui. Mi pareva di aver scoperto un errore nella sua organizzazione commerciale: volli dirglielo subito per conquistarmi la sua stima. Un giorno al tavolo del Tergesteo l’arrestai quando, discutendo di un affare, stava dando della bestia ad un suo interlocutore. L’avvertii ch’io trovavo ch’egli sbagliava di proclamare con tutti la sua furberia. Il vero furbo, in commercio, secondo me, doveva fare in modo di apparire melenso.
Egli mi derise. La fama di furberia era utilissima. Intanto molti venivano a prender consiglio da lui e gli portavano delle notizie fresche mentre lui dava loro dei consigli utilissimi confermati da un’esperienza raccolta dal Medio Evo in poi. Talvolta egli aveva l’opportunità di aver insieme alle notizie anche la possibilità di vendere delle merci. Infine — e qui si mise ad urlare perchè gli parve d’aver trovato finalmente l’argomento che doveva convincermi — per vendere o per comprare vantaggiosamente, tutti si rivolgevano al più furbo. Dal melenso non potevano sperare altro fuorchè indurlo a sacrificare ogni suo beneficio, ma la sua merce era sempre più cara di quella del furbo, perchè egli era stato già truffato al momento dell’acquisto.
Io ero la persona più importante per lui a quel tavolo. Mi confidò suoi segreti commerciali ch’io mai tradii. La sua fiducia era messa benissimo, tant’è vero che potè ingannarmi due volte, quand’ero già divenuto suo genero. La prima volta la sua accortezza mi costò bensì del denaro, ma fu l’Olivi ad esser l’ingannato e perciò io non mi dolsi troppo. L’Olivi m’aveva mandato da lui per averne accortamente delle notizie e le ebbe. Le ebbe tali che non me la perdonò più e quando aprivo la bocca per dargli un’informazione, mi domandava: «Da chi