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sua debolezza e solo perciò non discussi. Mi piaceva di vederlo felice nella sua illusione di essere tanto forte quand’era invece debolissimo. Ero poi lusingato dall’affetto che mi dimostrava manifestando il desiderio di consegnarmi la scienza di cui si credeva possessore, per quanto fossi convinto di non poter apprendere niente da lui. E per lusingarlo a dargli pace gli raccontai che non doveva sforzarsi per trovare subito le parole che gli mancavano, perchè in frangenti simili i più alti scienziati mettevano le cose troppo complicate in deposito in qualche cantuccio del cervello perchè si semplificassero da sè.

Egli rispose:

— Quello ch’io cerco non è complicato affatto. Si tratta anzi di trovare una parola, una sola e la troverò! Ma non questa notte perchè farò tutto un sonno, senza il più piccolo pensiero.

Tuttavia non si levò dalla sedia. Esitante e scrutando per un istante il mio viso, mi disse:

— Ho paura che non saprò dire a te quello che penso, solo perchè tu hai l’abitudine di ridere di tutto.

Mi sorrise come se avesse voluto pregarmi di non risentirmi per le sue parole, si alzò dalla sedia e mi offerse per la seconda volta la sua guancia. Io rinunziai a discutere e convincerlo che a questo mondo v’erano molte cose di cui si poteva e doveva ridere e volli rassicurarlo con un forte abbraccio. Il mio gesto fu forse troppo forte, perchè egli si svincolò da me più affannato di prima, ma certo fu da lui inteso il mio affetto, perchè mi salutò amichevolmente con la mano.

— Andiamo a letto! — disse con gioia e uscì seguito da Maria.