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tizie della guerra e se era vero ch’era imminente l’intervento italiano. Mi guardava ansioso in attesa della risposta.

Dunque neppure loro che la facevano sapevano se la guerra ci fosse o no! Volli renderlo più felice che fosse possibile e gli diedi le notizie che avevo propinate anche al padre di Teresina. Poi mi pesarono sulla coscienza. Nell’orrendo temporale che scoppiò, probabilmente tutte le persone ch’io rassicurai perirono. Chissà quale sorpresa ci sarà stata sulla loro faccia cristalizzata dalla morte. Era un ottimismo incoercibile il mio. Non avevo sentila la guerra nelle parole dell’ufficiale e meglio ancora nel loro suono?

Il caporale si rallegrò molto e, per compensarmi, mi diede anche lui il consiglio di non tentare più di arrivare a Lucinico. Date le notizie mie, egli riteneva che le disposizioni che m’impedivano di rincasare sarebbero state levate il giorno appresso. Ma intanto mi consigliava di andare a Trieste al Platzkommando dal quale forse avrei potuto ottenere un permesso speciale.

— Fino a Trieste? — domandai io spaventato. — A Trieste, senza giubba, senza cappello e senza caffelatte?

A quanto ne sapeva il caporale, mentre parlavamo, un fitto cordone di fanteria chiudeva il transito per l’Italia, creando una nuova ed insuperabile frontiera. Con un sorriso di persona superiore mi dichiarò che, secondo lui, la via più breve per Lucinico era quella che conduceva oltre Trieste.

A forza di sentirmelo dire, io mi rassegnai e m’avviai verso Gorizia pensando di prendere il treno del mezzodì per recarmi a Trieste. Ero agitato, ma devo