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della mia dolce malattia, vi scopersi come un programma di vita (non di morte!) nei varii suoi stadii. Addio propositi: finalmente ne ero libero. Tutto avrebbe seguito la sua via senz’alcun mio intervento.

Scopersi anche che la mia malattia era sempre o quasi sempre molto dolce. Il malato mangia e beve molto e di grandi sofferenze non ci sono se si bada di evitare i bubboni. Poi si muore in un dolcissimo coma.

Poco dopo il Paoli mi chiamò al telefono. Mi comunicò che non v’era traccia di zucchero. Andai da lui il giorno appresso e mi prescrisse una dieta che non seguii che per pochi giorni e un intruglio che descrisse in una ricetta illeggibile e che mi fece bene per un mese intero.

— Il diabete le ha fatto molta paura? — mi domandò sorridendo.

Protestai, ma non gli dissi che ora che il diabete m’aveva abbandonato mi sentivo molto solo. Non m’avrebbe creduto.

In quel torno di tempo mi capitò in mano la celebre opera del dottor Beard sulla nevrastenia. Seguii il suo consiglio e cambiai di medicina ogni otto giorni con le sue ricette che copiai con scrittura chiara. Per alcuni mesi la cura mi parve buona. Neppure il Copler aveva avuto in vita sua tale abbondante consolazione di medicinali come io allora. Poi passò anche quella fede, ma intanto io avevo rimandato di giorno in giorno il mio ritorno alla psico-analisi.

M’imbattei poi nel dottor S. Mi domandò se avevo deciso di lasciare la cura. Fu però molto cortese, molto più che non quando mi teneva in mano sua. Eviden-