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frangenti simili. Proprio mi pareva ch’era necessario egli subisse intera la lezione.

Qui Guido mitemente protestò. Chi non aveva giocato in Borsa? Nostro suocero, ch’era stato un commerciante tanto solido, non era stato un giorno solo della sua vita privo di qualche impegno. Eppoi — Guido lo sapeva — avevo giocato anch’io.

Protestai che fra gioco e gioco c’era una differenza. Egli aveva rischiato alla Borsa tutto il suo patrimonio, io le rendite di un mese.

Mi fece un triste effetto che Guido tentasse puerilmente di liberarsi dalla sua responsabilità. Egli asserì che il Nilini lo aveva indotto a giocare più di quanto egli avesse voluto, facendogli credere di avviarlo ad una grande fortuna.

Io risi e lo derisi. Il Nilini non era da biasimarsi perchè faceva gli affari suoi. E — del resto — dopo di aver lasciato il Nilini, non si era egli precipitato ad aumentare la propria posta col mezzo di un altro sensale? Avrebbe potuto vantarsi della nuova relazione se con essa si fosse messo a giocare al ribasso ad insaputa del Nilini. Per riparare non poteva certo bastare di cambiare di rappresentante e continuare sulla stessa via perseguitato dallo stesso malocchio. Egli volle indurmi finalmente a lasciarlo in pace, e, con un singhiozzo nella gola, riconobbe di aver sbagliato.

Cessai dal rampognarlo. Ora mi faceva veramente compassione e l’avrei anche abbracciato se egli avesse voluto. Gli dissi che mi sarei occupato subito di provvedere il denaro che io dovevo fornire e che avrei potuto anche occuparmi di parlare con nostra suocera. Egli, invece, si sarebbe incaricato di Ada.