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trovato qualche sollievo al caldo. Infatti non vi trovammo altro. Dopo un solo tentativo, non inescammo neppure più gli ami e lasciammo pendere le lenze dalla barchetta che Luciano spinse al largo. I raggi della luna raggiungevano certo il fondo del mare affinando la vista agli animali grossi e rendendoli accorti dell’insidia ed anche agli animalucci piccoli capaci di rosicchiarci l’esca, ma non d’arrivare con la piccola bocca all’amo. Le nostre esche non erano altro che un dono alla minutaglia.
Guido si coricò a poppa ed io a prua. Egli mormorò poco dopo:
— Che tristezza tutta questa luce!
Probabilmente diceva così perchè la luce gl’impediva di dormire ed io assentii per fargli piacere ed anche per non turbare con una sciocca discussione la quiete solenne in cui lentamente ci movevamo. Ma Luciano protestò dicendo che a lui quella luce piaceva moltissimo. Visto che Guido non rispondeva, volli farlo tacere dicendogli che la luce era certamente una cosa triste perchè si vedevano le cose di questo mondo. Eppoi impediva la pesca. Luciano rise e tacque.
Stemmo zitti molto tempo. Io sbadigliai più volle in faccia alla luna. Rimpiangevo di essermi lasciato indurre di montare in quella barchetta.
Guido improvvisamente mi domandò:
— Tu che sei chimico, sapresti dirmi se sia più efficace il veronal puro o il veronal al sodio?
Io veramente non sapevo neppure che ci fosse un veronal al sodio. Non si può mica pretendere che un chimico sappia il mondo a mente. Io di chimica so tanto da poter trovare subito nei miei libri qualsiasi in-