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derarla. Ma andavo rivedendo i nostri rapporti passati e mi pareva che se essa fosse stata còlta da un improvviso amore per me, mi sarei trovato nelle brutte condizioni che ricordavano un poco quelle di Guido verso l’amico inglese dalle sessanta tonnellate di solfato di rame. Proprio lo stesso caso! Pochi anni prima io le avevo dichiarato il mio amore e non avevo fatto alcun atto di revoca fuori di quello di sposarne la sorella. In tale contratto essa non era protetta dalla legge ma dalla cavalleria. A me pareva di essere tanto fortemente impegnato con lei, che se essa si fosse presentata da me molti ma molti anni più tardi, perfezionata magari nella malattia di Basedow da un bel gozzo, io avrei dovuto far onore alla mia firma.

Ricordo però che tale prospettiva rese il mio pensiero più affettuoso per Ada. Fino ad allora, quando m’avevano informato dei dolori di Ada causati da Guido, io non ne avevo certamente goduto, ma pure avevo rivolto il pensiero con una certa soddisfazione alla mia casa nella quale Ada aveva rifiutato di entrare ed ove non si soffriva affatto. Ora le cose avevano cambiato: quell’Ada che m’aveva respinto con disdegno non c’era più, a meno che i mei testi di medicina non sbagliassero.

La malattia di Ada era grave. Il dottor Paoli, pochi giorni dopo, consigliò di allontanarla dalla famiglia e di mandarla in una casa di salute a Bologna. Seppi ciò da Guido, ma Augusta poi mi raccontò che alla povera Ada anche in quel momento non furono risparmiati dei grandi dispiaceri. Guido aveva avuto la sfacciataggine di proporre di mettere Carmen alla direzione della famiglia durante l’assenza di sua moglie. Ada non ebbe il coraggio di dire apertamente quello che pensava di